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Domande e risposte: prima parte

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NESSUN APPIGLIO!

Cosa si intende per aikido vivo?
E’ possibile praticare qualcosa che sia definita aikido ma sia simile ad una ginnastica o una coreografia, in quel caso è una pratica morta,  bella solo nella sua formalità.
La pratica dell’aikido non può, di per se, essere trincerata dietro la ripetizione di forme sempre uguali a se stesse, di attacchi sempre predeterminati, di kata troppo perfezionistici, questa è identificazione verso la parte più esteriore della pratica, e la memorizzazione di questi elementi non c’entra.

Allora cos’è l’aikido?
Secondo me, l’aikido è pura esperienza e disponibilità del corpo attraverso la capacità di essere totalmente presenti e privi di pensieri. E’ un fatto pratico: quando passa un pensiero ci si aggrappa, e quel pensiero potrebbe essere semplicemente “mi sta arrivando uno shomenuchi (fendente centrale) adesso costruisco ikkyo “(la tecnica). La mente è nel futuro, ma questo va contro la naturalezza e l’oggettività del presente, poiché se la mente è nel futuro cerchiamo di far di tutto per rendere reale il nostro schema mentale. Se ciò avviene, non abbiamo fatto aikido, non ci siamo armonizzati perché non siamo centrati nel famoso qui e ora, vogliamo egoisticamente imporre la nostra forma nata da una predisposizione mentale.

Ma prima di giungere a questa presenza, questa consapevolezza, prima di liberarsi dalle forme è necessario conoscerle e studiarle?
Il problema non è mai la forma in se, ma come viene studiata. Posso usare un coltello per tagliare una frittata, oppure per uccidere, il problema non è il coltello.
Se è fine a se stessa, come spesso accade, porterà solo all’emulazione di schemi preconfezionati e senza nessuna anima.
E’ possibile anche impostare un Aikido senza nessuna forma predefinita, ma questo vale soltanto per alcuni allievi che hanno un’enorme intelligenza e apertura. La forma tuttavia aiuta, ma non deve diventare il fine. Sarebbe come usare la macchina per andare in un luogo, e poi rimanerci dentro, lustrando volante e sedili!
Purtroppo si pensa che oggi l’aikido sia le sue tecniche, e l’aikido che è fonte di movimento diventa statico e morto.

Parlando di ignoranza, quali sono le possibili “colpe” degli allievi e quali quelle degli insegnanti, nella ricerca di una buona didattica?
Dipende dal livello di passione che ogni allievo ha, perché questo li spinge alla ricerca, al documentarsi, a porsi delle domanda inerenti. L’ignoranza è sempre una colpa, perché l’ignorante è colui che ignora, cioè colui che non vuole sapere e pensa di sapere, il significato attuale ne sta perdendo il senso, classificando come ignorante colui che non sa e basta.
In realtà gli insegnanti hanno gli allievi che si meritano.
Faccio un esempio:
Se in un dojo si pratica “tanto per praticare”, cioè ci si diverte, si ride, si scherza, l’intensità dell’allenamento è blanda, si parlotta molto, questo è reso possibile solo a causa dell’insegnante. Se, ad esempio, quell’insegnante ha 10 allievi e per un caso X dovesse essere sostituito da uno più autorevole, che porta il tatami ad un livello più tecnico e meno all’acqua di rose, circa 7-8 di questi allievi soffriranno di questa situazione, e lasceranno. Gli altri 1-2, forse si renderanno conto di non aver mai praticato, e vorranno iniziare a farlo da subito, senza nulla togliere al piacere di stare insieme. Ma questo piacere di stare insieme, è solo una naturale conseguenza.
Oggi c’è tanta informazione, non si può far finta di nulla. Tra l’altro la biomeccanica del corpo funziona allo stesso modo per tutti. Questo perché molti si nascondono dietro “il loro stile”, ma è una affermazione che va bene per le arti figurative o la musica. In aikido è coinvolto il corpo, e il corpo è lo stesso per tutti.

Si può generare molta confusione nella testa dell’allievo, non si capisce più cosa sia l’aikido e cosa non lo sia, non è vero?
Certo. Se l’allievo ragiona con la testa, inevitabilmente si creerà confusione. Il problema è proprio quello, perché ragionare, razionalizzare, classificare? L’intelligenza non è razionalità, è la capacità di porsi gli interrogativi fondamentali e di rinnovarsi ogni volta.
L’intelligenza è apertura, non ricerca di sicurezze. Essa è soprattutto la ricerca di risposte, ma mai definitive, perché nulla è definitivo.
Tuttavia l’insegnante deve essere chiaro e aiutare l’allievo a capire ciò che fa e perché lo fa. La pratica “misteriosa” del “fai fai e poi capirai” ormai è morta. Le persone oggi sono più sveglie, e vanno trattate come tali. Bisogna dare loro le risposte a livello teorico al massimo, mentre i risultati con la pratica arrivano dopo. Ma se l’allievo si limita a pratica senza sapere il perché fa determinate cose, questo porterà ad inevitabili incomprensioni e problemi tra allievi e maestri. Ma, mentre prima questo “risveglio” dell’allievo avveniva dopo molti anni, adesso tutto è più veloce, il maestro che crede di tenersi buono l’allievo ha fatto male i suoi conti.
La figura autoritaria del grande maestrone che pesa gli stessi kg dei suoi anni di pratica, ormai sta finendo. Verrà sostituito con veri e proprio gruppi di lavoro che non si bevono tutto ciò che gli viene detto, la rete diverrà la loro arma, la pratica sarà più scientifica e meno mistica.

Classificare aiuta a fare chiarezza? Classificando, nominando ciò che fai, sai quello che stai facendo e puoi affrontarlo con maggiore profondità, no?
Sono convinto di no. O meglio, a volte classificare può essere utile, il problema è che l’uomo tende a classificare troppo. Più classifichi la tua vita più la complichi

E i nomi delle tecniche?
Le tecniche sono come onde del mare, non puoi nominarle tutte, avranno sempre forme e direzioni diverse. Quando dai un nome ad una tecnica la stai definendo, le stai dando troppa importanza, le stai dando una vita propria, la stai “congelando” e la mente inizia a classificare e dividere.
Anche in questo caso nulla è un problema in se, si possono nominare, ma bisognerebbe essere certi che l’intelligenza degli allievi sia vastissima! Tendenzialmente però preferisco evitare i nomi a prescindere.
Poi viene da te l’allievo con il pezzetto di carta e ti chiede “questa è ikkyo, quella era nikkyo, poi cosa ci sarà? Cosa abbiamo fatto 2 settimane fa? Mi puoi scrivere i nomi delle tecniche, ho paura di dimenticarli.”.
Inevitabilmente si diventa schiavi delle classificazioni e delle associazioni. Si può benissimo praticare senza dare un nome ad ogni cosa che si fa.
Un insegnante era estremamente perplesso da questo mio “nuovo” metodo, e mi chiese se io insegnavo l’ikkyo ura (tecnica di aikido in versione esterna) e se si, come lo insegnavo.
Risposi che non insegnavo più ikkyo ura, e lui mi guardò con aria stupefatta come a voler dire “ma come puoi praticare aikido senza l’ikkyo ura”?
Gli dissi che io insegno Ikkyo, ma non è necessario dargli un nome. Una volta che conosci Ikkyo puoi da solo trovare tutte le versioni che meglio si sposano con la situazione. Se tu conosci solo 3 versioni (per esempio), e le nomini, allora farai solo quelle imponendole, mettendo al primo posto la tua conoscenza che la situazione.
E’ questo il problema dell’aikido oggi, prima viene la tua conoscenza, poi viene la situazione!
Io non posso insegnare Ikkyo ura, perché così facendo dovrei mettermi a nominare tutte le volte che faccio un Ikkyo diverso, e considera che le possibilità sono quasi illimitate! E’ come uscire di casa imparando a memoria tutte le frasi che dirai quando incontrerai qualcuno, ma come fai? Prima impari a parlare, e poi parli, questo basta.

E i taisabaki? Tenkan, irimi tenkan, tenchin …(principali movimenti del corpo)
Idem. Stai imponendo al corpo cose che non gli appartengono. Per esempio quando ero iscritto nell’Aikikai Italia lavoravo moltissimo sul taisabaki, su tutti quei movimenti di piedi prima di iniziare una lezione. Mi ritrovavo quindi ad averli ormai interiorizzati, e anziché aiutarmi durante le tecniche, mi creavano ulteriori problemi. Se un passo era stato studiato con una certa apertura, ovviamente io lo cercavo sempre alla stessa apertura, quindi condizionavo enormemente il mio corpo, non sapevo che potevo trovarne altre 500.
Eppure mi veniva sempre detto che il taisabaki è la base di tutto: ed è vero, senza taisabaki non potresti neanche camminare per andare a spegnere la TV, ma ti basta camminare per arrivarci in maniera semplice e naturale. Il problema è sempre quello, enfatizzare troppo dei punti che diventano, inevitabilmente, la nostra prigione. Il corretto spostamento dei piedi deve essere naturale, non forzato e “dato” all’esterno.

I taisabaki aiutano a costruire meglio le tecniche?
L’errore sta nella domanda. Le tecniche non si costruiscono, le tecniche vengono fuori da sole. Quando inciampi il corpo sa già dove deve mettere i piedi, o cosa afferrare per non cadere … lo sa già! È un meccanismo inconscio.
Noi sottovalutiamo gli istinti e le capacità insite del nostro corpo. Il bambino quando nasce non ha bisogno che qualcuno gli insegni a nuotare, sa già nuotare e anche molto bene.
Non hai bisogno di insegnare al tuo corpo niente di più di ciò che già sa, devi solo ricordaglielo.

Quindi, meno sai meglio è?
Esatto. Tu non devi sapere niente, perché appena sai ti ci aggrappi. Appena sai, crei una resistenza tra ciò che sai e ciò che avviene realmente. Cosa c’è di più stupido di creare una resistenza a qualcosa che già esiste? L’aikido è abbandono, prima accetti e poi agisci.

Gabriele Pintaudi

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